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Dalla rivista "Ansa.it - Un libro al giorno"

di Marzia Apice


'Cose che parlano di noi. Un antropologo a casa nostra' (Il Mulino, pp. 197, 16 euro). 'Gli oggetti conservano e possiedono, accolgono ed esprimono le emozioni con cui sono stati associati': ne è fermamente convinto Daniel Miller, antropologo, autore del libro 'Cose che parlano di noi' (il Mulino). Se assumiamo questo concetto come vero, verrà naturale pensare al fatto che molto spesso, nel nostro microcosmo domestico, sono proprio gli oggetti a darci sollievo e, in un certo senso, conforto. In modo muto, ma continuo, le cose di cui ci circondiamo quotidianamente possono rappresentare per ognuno di noi un punto fermo, e, al tempo stesso, un luogo materiale o immaginario da cui partire per relazionarci con noi stessi e con gli altri. Al centro di questo libro, frutto di un'indagine sul campo (l'autore, insieme con la sua collaboratrice Fiona Parrott, ha preso in esame e studiato per ben diciassette mesi dodici persone, quasi tutte provenienti da una determinata via di South London), ci sono proprio 'le relazioni che fluiscono costantemente tra le persone e le cose', legami che secondo l'antropologo definiscono un rapporto interdipendente, senza soluzione di continuità. Per questa ragione, dunque, proprio per conoscere in quale modo le persone vivono e come esprimono se stesse, è utile ascoltare cosa hanno da dire gli oggetti che possiedono. ''Eravamo solo intenti ad ascoltare, osservare, seguire una strada in cui la segnaletica era costituita dai beni materiali che potevamo osservare o di cui sentivamo parlare'', scrive Miller. Una scoperta continua, dunque, lungo la difficile strada della conoscenza: decorazioni di Natale, fotografie, paperelle di plastica, cibi, abiti, cd, computer, tatuaggi, cani, tutte le cose di casa vanno molto al di là dell'uso e del consumo che ne facciamo. Sono 'un aspetto integrale e inseparabile di tutte le relazioni'. Ed è innegabile che questa 'antropologia delle cose' (per citare il titolo di un altro libro di Miller), questa 'cultura materiale' rappresenti senza dubbio uno degli strumenti (tra i più affascinanti) nelle mani degli studiosi per decifrare la complessità della società contemporanea, così affollata di oggetti, materiali e non. Scorrendo tra le pagine, e conoscendo le storie dei dodici personaggi, si scopre che queste 'unità domestiche', indagate direttamente nelle loro case, denotano una ricchezza incredibile, e una complessità paragonabile a quella di una società, anche se in piccolo. Non c'è davvero nulla di banale quindi nelle cose di uso quotidiano: al contrario, esse nascondono mondi interi, rivelando sorprendentemente tratti caratteriali e approcci culturali, intime riflessioni, gioie, ferite, speranze e grandi dolori dell'esistenza.

Da: https://www.ansa.it/web/notizie/unlibroalgiorno/news/2014/02/26/-Cose-che-parlano-noi-_10145670.html 

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Dalla rivista "Doppio zero"

L’architettura come farmaco

 

di Marco Biraghi

Qualche tempo fa l’architetto Carlo Gandolfi ha pubblicato un libro intorno all’opera e al pensiero di Paulo Mendes da Rocha (Matter of Space. Città e architettura in Paulo Mendes da Rocha, Accademia University Press, Torino 2018). “Intorno”, piuttosto che “incentrato su”, definisce meglio il carattere del libro in questione. Non si tratta infatti di uno studio rigorosamente storico, “monografico”, come viene inteso questo termine in circostanze simili. Un altro libro dedicato al medesimo autore, di qualche anno precedente, dell’ottimo storico Daniele Pisani, fornisce un eccellente esempio di “monografia” scientificamente impostata in tal senso (Paulo Mendes da Rocha. Tutte le opere, Electa, Milano 2013).

Il libro di Gandolfi ha un taglio affatto diverso. Non che Paulo Mendes da Rocha non vi occupi un ruolo centrale. E però, quella che egli offre al lettore è un’avventura – visuale e concettuale – piuttosto che una semplice esposizione dell’opera e del pensiero dell’architetto brasiliano.

 

Basti dire che – tra le molte altre – nel libro appaiono citazioni di La classe operaia va in paradiso di Elio Petri, Georges Perec, Daniel Barenboim, Paul Ricoeur, Constantin Brancusi, Guy Debord, Rem Koolhaas, James Ballard, Cino Zucchi, Roger Caillois, Brunetto Latini, Adam Caruso; immagini di Stonehenge, del Pantheon, del Palazzo delle 100 colonne a Persepoli, del tempio di Poseidone a Capo Soúnion; di progetti o edifici di Mies van der Rohe, Le Corbusier, Lina Bo Bardi, SITE, Craig Ellwood, Amacio Williams, Francisco Javier Sáenz de Oíza, MVRDV, El Lissitzky, Norman Foster, Pier Luigi Nervi; di opere di Giotto, Fischli & Weiss, Félix Gonzáles-Torres, Barbara Kruger, Philip-Lorca di Corchia, Rachel Whiteread, Paul Klee, Walter De Maria Angelo Morbelli; illustrazioni dall’Encyclopédie di Diderot e d'Alembert e dal De humani corporis fabrica di Andrea Vesalio. E ancora, vi compaiono fotogrammi di film di Wim Wenders, Aleksandr Sokurov, Luchino Visconti; disegni di John Coltrane, fotografie di Fred Astaire, nonché il diagramma compositivo della canzone Gabriela di Tom Jobim (un musicista, compositore e cantante brasiliano, per chi non lo sapesse).

 

Un progetto curioso e ambizioso, a cui guardare con attenzione: un progetto che si traduce in un’interrogazione sullo e dello spazio come dimensione principe dell’architetto: dove l’architetto in questione è Mendes da Rocha ma in eguale misura anche Carlo Gandolfi.

Materiale primario di tale avventura sono i progetti e gli edifici di Mendes da Rocha (tra le cui opere più memorabili vanno citati il Club Athletico Paulistano, 1958-61, e il Museo Brasileiro da Escultura, 1986-95, entrambi a São Paulo), ma suo obiettivo recondito è il raggiungimento, l’affermazione di un’idea. Nel perseguirla Gandolfi utilizza un registro evocativo e narrativo, cui si alternano affondi improvvisi condotti con strumenti di estrema esattezza, in altri tempi si sarebbe detto con acribia. Esemplare in questo senso è la lettura che egli fa del Padiglione del Brasile per l’Expo di Osaka del 1970: «Il progetto per il Padiglione di Osaka condensa al suo interno la scala del paesaggio e quella della città.  In esso sono evocate metafore racchiuse all’interno di una stanza virtuale priva di confini fisici, ma delimitata dalla proiezione a terra di un grande tetto sorretto da soli quattro appoggi in modo leggero e coraggioso senza ostentare poderosi sforzi strutturali.

A partire da un suolo ondulato, si creano tre dune rivestite di asfalto verniciato di color bianco che formano un anfiteatro naturale: un paesaggio di annunciata dissimmetria capace di mettere gli elementi in tensione tra loro. Il suo profilo richiama i rilievi della natura e al centro della sua scena ha un simbolo: i due archi incrociati che rimandano alla pratica fondativa.

 

Le due direzioni è come se definissero gli assi cartesiani del cardo e del decumano e insieme rimandassero alle direzioni che, scorrendo sul suolo del padiglione, attraversano il Brasile e tutto il continente sudamericano. Sono queste le coordinate di una sterminata geografia, qui simulata e trafitta dalla rampa diagonale che, penetrando al di sotto della campata opposta, permette di entrare nell’auditorium sotterraneo. […] La rampa taglia in due punti il suolo del padiglione». È a questo punto che, in modo del tutto imprevedibile, la prosa cambia registro, e dalla massima altezza interpretativa precipita nell’universo di una precisione addirittura millimetrica: «Una linea di tensione – un autentico metodo – trafigge il suolo […] per poi riemergere sull’asse del quarto punto di appoggio (a sua volta adagiato a quota –1 metro) costituito da due piani rettangolari di cemento armato (7,20 x 4,50 metri, spessore 30 centimetri) che si attraversano reciprocamente in senso ortogonale in posizione mediana, cui è sottratta una semicirconferenza a sottendere una semisfera virtuale (con raggio di 3,25 metri) centrata su un’ideale chiave di volta sulla quale poggia (a distanza di 10 centimetri occupati dal giunto elastomerico) la trave di bordo ad altezza variabile, larga 90 centimetri, equamente tripartita grazie alla scanalatura centrale superiore inferiormente raggiata (diametro 2,20 metri)».

Da: https://www.doppiozero.com/materiali/larchitettura-come-farmaco?fbclid=IwAR0kodikMMp2Ov7cdMYQHSYXGbN40ntaW5DdxroUPfHbkbyXflNxmIfqCZ8

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Dalla rivista "Doppio zero"

Oggetti d’infanzia | Choco banana

 

 di Nicole Janigro

 

Parevo un’ossessa. Partivo dalla piazza centrale della mia città natale in tutte le direzioni. A piedi o in tram puntavo piccoli market in periferia, grandi magazzini inaugurati da poco, setacciavo pasticcerie simil viennesi, interrogavo le commesse stupite che si potessero fare domande del genere, assillavo parenti e conoscenti. Non mi rassegnavo alla mancanza di quel cioccolatino a forma di banana con dentro il...

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Gli individui comunicano attraverso gli oggetti di cui si circondano...

 

di Roberta Casale

La rappresentazione del lusso.

consentono di tratteggiare una forma di comunicazione che promuove prodotti di uso quotidiano attraverso elementi simbolici che fanno leva su desideri e aspirazioni. Si tratta di una strategia che raggiunge il suo apice nel primo decennio del XXI secolo. Attraverso l'analisi della comunicazione pubblicitaria è possibile evidenziare come alcuni aspetti, emersi nelle società occidentali della modernità avanzata, si manifestino all'interno della casa sia sotto il profilo estetico sia nel modo di fruirla e di percepirla. Lo spazio scenico all'interno degli spot pubblicitari, soprattutto attraverso la ricostruzione dello spazio abitativo, diviene chiave di lettura della contemporaneità e dei cambiamenti che la caratterizzano. La casa, comunicando visivamente l'identità del suo abitante, risulta essere interessante oggetto di analisi; lo spazio abitativo è inteso come una cornice all'interno della quale si inscrivono le biografi e di chi lo vive: emerge lo stretto legame tra pratiche sociali e configurazione dei luoghi in un reciproco influenzarsi.( le cose ci accompagnano , strutturano i nostri desideri, subiscono le nostre aggressioni)

Da home a house. Le rappresentazioni del lusso nella pubblicità del nuovo millennio

 

 

 

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ANNI 60

Possedere la casa e l'automobile è un privilegio alla portata di tutti.

 

ANNI 70 

La libertà di scegliere consumi alternativi conquista nuovi spazi nel mercato nazionale.

 

ANNI 80

Domina l'edonismo e l'individualismo.

 

ANNI 90

Scoprirsi un po' bambini tra PC, videogames e cellulare. 

 

ANNI 2000

Anche l'Italia entra nella rete e tutto il mondo è in connessione. 

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